Intervista allo scrittore ligure Adriano Morosetti, autore de Il Breve Mestiere Di Vivere

Intervista allo scrittore ligure Adriano Morosetti, autore de Il Breve Mestiere Di Vivere

Adriano Morosetti, scrittore ligure nato e vissuto a Sanremo, è autore de Il Breve Mestiere Di Vivere (Mursia, 2024), un divertente e appassionante “noir mediterraneo” ambientato a Sanremo durante il festival; Morosetti, pur essendo al suo esordio letterario, è già noto come sceneggiatore televisivo e ha una solida esperienza come “ghost writer” e in altri campi legati alla narrazione scritta.

Lo abbiamo intervistato per voi.

Parlaci di te: una piccola biografia specificando quando e dove sei nato, cosa hai fatto nella vita a livello letterario e dove vivi attualmente

Per tutta la vita, ho avuto la fortuna di campare con la scrittura. Ho fatto il ghost writer, il copy, l’autore televisivo. E scritto di tutto: discorsi per manager, cataloghi di pezzi di ricambio, documentari sul rugby. In un’epoca in cui ancora non esistevano i social e tutte le professioni connesse.

Da tempo, lavoro come sceneggiatore di serie animate per bambini. E mi diverto tantissimo.

Adriano Morosetti (Foto di A. Fuccillo)

Come è nata l’idea alla base del tuo romanzo di esordio?

L’idea mi girava in testa da anni articolata in pochi elementi: il personaggio del giornalista tornato a Sanremo, la squallida rivista di gossip, l’amico assassinato e un frammento di storia: da questi spunti ho cercato di capire chi fosse il giornalista, chi fosse l’amico e che cosa avesse provato a dire… e dalle risposte è uscito fuori un mondo.

Il Breve Mestiere Di Vivere è stato definito un “noir mediterraneo”: sei d’accordo con questa definizione?

Sì. Il “noir mediterraneo” è un romanzo in cui il giallo e il noir si legano fortemente alle caratteristiche storiche e culturali di un determinato territorio, dove gli spazi, i tempi e i luoghi sono profondamente intrecciati con la storia narrata, i personaggi e gli eventi. Nel mio caso, la Sanremo del 1993.

Quanto c’è di te e delle tue esperienze personali nei personaggi e nelle vicende dei tuoi libri?

Per lavoro, sono abituato a scrivere all’interno di progetti che non sono stati pensati da me. Ogni serie animata si basa su quella che in gergo viene chiamata “bibbia”: un documento più o meno corposo, all’interno del quale vengono spiegati dettagliatamente il concept, i personaggi, i luoghi, il tipo di storie e di tematiche…

Scrivendo “cose mie”, cerco di fare lo stesso, sviluppando personaggi che abbiano una loro identità, staccata da me.

Il legame con la tua città si percepisce molto forte anche nel tuo romanzo: è così?

Sono cresciuto a Sanremo, una città atipica – con tutti i pregi e difetti della provincia italiana, ma ricchissima e famosa – che ho iniziato a capire davvero solo dopo essermene andato, finite le scuole.

Nel mio romanzo ci sono molte delle suggestioni che da sempre mi porto dietro: il clima folle e irreale del festival, le luci e le ombre della città, l’atmosfera di certi luoghi, i ricordi. Ho vissuto in molte città, ma non ho più costruito un legame forte come quello con Sanremo.

Qual è il tuo rapporto con i tuoi lettori?

Il mio romanzo è uscito da poco, quindi, è un rapporto appena nato e che scopro giorno per giorno: durante le prime presentazioni o sui social, ho avuto modo di incontrare i lettori e percepisco nelle loro parole un senso di gratitudine (è un termine pomposo, lo so, ma non saprei come altro definirla) per le sensazioni che hanno provato. Perché alla fine, in qualsiasi cosa scrivo, anche per lavoro, si può ridurre tutto a questo: far provare emozioni.

Quando e perché hai deciso di diventare uno scrittore?

A nove anni ho letto i Ragazzi della via Pal: l’amicizia, il covo, la battaglia, la morte di Nemecsek… Ho pensato: wow! E subito dopo: non sarebbe fantastico riuscire a raccontare una storia così?

Per molti anni, ho avuto paura di non esserne capace. Forse ero in grado di buttare giù una storia, ma scrivere un vero romanzo? Meglio non provarci. Solo da poco, ho trovato il coraggio. Ed è stato talmente bello, che un po’ mi pento di non averci provato prima.

Cosa rappresenta per te la scrittura?

Scrivere, per me, è una passione, un divertimento e un lavoro (cioè disciplina e impegno). E senza uno di questi tre elementi, il gioco non può funzionare.

Quali sono i tuoi modelli letterari?

Per limitarmi al genere noir, faccio quattro nomi, ma sarebbero molto di più: Jean–Claude Izzo, James Crumley, Joe Lansdale e Massimo Carlotto.

E se posso dare un consiglio, andate subito a recuperare uno dei loro romanzi.

Mi ritrovo molto in quello che viene chiamato “noir mediterraneo”, ovvero quei romanzi in cui il giallo e il noir si legano fortemente alle caratteristiche storiche e culturali di un determinato territorio. Dove gli spazi, i tempi e i luoghi sono profondamente intrecciati con la storia narrata, i personaggi e gli eventi. Nel mio caso, la Sanremo del 1993.

Adriano Morosetti (Foto di A. Fuccillo)

È facile conciliare l’attività di scrittore con la vita di tutti i giorni?

Da anni, ho la fortuna di lavorare da casa. E quindi di avere due cose fondamentali per la scrittura: la solitudine e la gestione completa del tempo. 

Scrivo “cose mie”, nei periodi vuoti tra la fine di una serie e l’inizio della successiva. Oppure dopo una consegna, aspettando i feedback di editor e televisioni.

Che tipo di  lettore sei?

Impulsivo e disordinato. Leggo di tutto, spesso quattro, cinque libri alla volta. Ne inizio tanti, ne abbandono molti, a volte mi dimentico di quello che stavo leggendo. Ma nel caos, c’è sempre quello che mi prende veramente e finisco in poche ore. È una sorta di selezione naturale.

Come sei arrivato alla pubblicazione del tuo libro?

Per tentativi e con molta ingenuità. Dopo aver finito di scrivere il primo romanzo, ho pensato: ok, ci siamo, e adesso? Che ne faccio? L’ho fatto leggere ad alcuni amici fidati, che mi hanno spinto a crederci. Così, ho partecipato a due concorsi, per vedere come andava. In uno, sono finito tra i cinque finalisti per romanzi inediti. Mi ha dato ulteriore fiducia. E alla fine, ho deciso di spedirlo a tre editori, specializzati in gialli e noir, che mi piacevano particolarmente. La risposta di Mursia, dopo circa tre mesi, è stata la più veloce, e la più convinta.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

 Qualche mese fa ho avuto l’idea per il seguito de “Il breve mestiere di vivere”. Avevo bisogno che l’idea arrivasse da sola, e che non fosse forzata. Ora devo solo mettermi alla scrivania.

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