Intervista allo scrittore e regista Stefano Pasetto

Intervista allo scrittore e regista Stefano Pasetto



Stefano Pasetto è un regista e sceneggiatore, uno dei nomi più interessanti del nuovo cinema italiano: il lungometraggio Tartarughe Sul Dorso, interpretato da Barbora Bobulova e presentato alla Mostra di Venezia, gli vale la nomination al David di Donatello e ai Nastri d’Argento come miglior regista esordiente mentre  Il Richiamo, girato in Argentina con Sandra Ceccarelli e Francesca Inaudi, viene presentato al Festival di Toronto e distribuito in molti paesi.

Stefano Pasetto

Nel 2021 forma la sceneggiatura di Atlas, con Matilda De Angelis e nel  2022 realizza il documentario Il Tipografo che vince il festival Visioni dal Mondo e ottiene la selezione ufficiale per il Nastro d’Argento 2023. Ha insegnato regia all’Accademia Griffith di Roma e attualmente  tiene laboratori per attori tra Roma e Bruxelles, dove vive da diversi anni.

Ha da poco esordito come scrittore con Il Velo (ChiPiùNeArt, 2023), un romanzo al femminile ambientato in Argentina. Lo abbiamo intervistato per voi.

Parlaci della genesi de Il Velo.

Mentre facevo delle ricerche per un film, da girare in Argentina,  mi sono appassionato alle vicende storico-politiche del paese e leggendo moltissimi libri, inchieste giornalistiche, atti di lunghi processi, insieme a incontri e
interviste, mi sono ritrovato in una specie di incubo, dal quale non riuscivo più a prendere distanza; il progetto di film ha avuto tempi più lunghi del previsto e la mole di materiale accumulato era tale che ho cominciato a immaginare la storia in un’altra forma.

Che tipo di libro è Il Velo?

La storia ruota attorno ad un segreto di famiglia, un segreto inconfessabile e ingombrante; quella che, nelle intenzioni della protagonista, vuole essere una riconciliazione si trasforma, prima in una resa dei conti, poi in un gioco al massacro sotto il peso della verità.
Non posso anticipare molto perché ha la struttura di un thriller.

Ne farai un film?

L’idea c’è: vedremo.

Quanto c’è di te e delle tue esperienze, nel tuo libro?

Chi mi conosce mi dice che c’è molto di me, tra le pieghe di quello che scrivo e realizzo ma si tratta, spesso, di elementi distribuiti su più personaggi, dunque sufficientemente dissimulati. Nel caso de Il Velo, trattandosi di una narrazione in prima persona da parte della protagonista, c’è stato un grande lavoro di immersione nella psicologia femminile e durante la scrittura ho anche fatto un test di verifica: ho partecipato, sotto pseudonimo, ad un concorso letterario per incipit e, con mia
grande sorpresa, i giurati si sono rivolti a me pensando ad una scrittrice.

Qual è il tuo rapporto con i tuoi lettori?

Non c’è ancora un “mio lettore”. Nella mia attività di sceneggiatore mi si dice spesso che mi esprimo in una forma generosamente letteraria. Per me è solo un fatto di rispetto nei confronti di chi leggerà, anche quando si tratta di attori e collaboratori. Il lettore, come lo spettatore, non va
ingannato ma conquistato e la mia strada per arrivare a questo è l’autenticità dell’espressione.

Quando e perché hai deciso di diventare uno scrittore?

Non ho mai deciso, anzi ho sempre opposto resistenza a chi m’invitava a farlo perché amo talmente la letteratura che non mi sentivo degno di scimmiottare certi miei modelli. Poi è capitato.


Quali sono i tuoi modelli letterari? A quali libri o scrittori/scrittrici senti di poterti ispirare?


Leggo di tutto: romanzo, poesia, saggi. Ho chiaramente degli innamoramenti letterari, alcuni di lunga data, ma non ne parlerò neanche sotto tortura: è qualcosa di intimo però posso dire che il romanzo e la poesia del ‘900 rappresentano un nutrimento del quale non sono ancora
sazio.

E’ facile conciliare l’attività di scrittore con la vita di tutti i giorni?

Il passaggio dalla sceneggiatura alla scrittura letteraria è abbastanza fluido: posso permettermi di non considerarmi “scrittore” e questo mi rende tutto più semplice,  ho sempre pensato agli scrittori come gente che scruta l’orizzonte cercando ispirazione, invece si tratta di un corpo a corpo quotidiano con la pagina, evitando le prime soluzioni.

Come ti descriveresti, come lettore?

Esigente. Pretendo di essere conquistato già nelle prime cinquanta pagine  e non parlo di trama, mi riferisco più al tono di voce, al suono della parola, alle digressioni messe al posto giusto.

Come sei arrivato alla pubblicazione del tuo libro?

Quando ho sentito che il frutto era maturo, ho iniziato a sottoporlo agli editori, consapevole del fatto che sarebbe stato difficilissimo farsi leggere e  non avevo scartato neanche la possibilità di un’auto-pubblicazione; poi un editore, anzi un’editrice, Adele Costanzo (ChiPiùNeArt Edizioni) è apparsa dicendomi che quel che avevo scritto aveva un valore. È una prima pubblicazione, con tutti i limiti del caso, com’è giusto che sia, ma sono contento del dialogo che si è sviluppato.

Come valuti l’influenza e l’importanza delle reti sociali e della tecnologia per uno scrittore indipendente o comunque che pubblica al di fuori dei colossi dell’editoria? Inevitabile. Direi che è fondamentale anche per i colossi, basta vedere quanto è intensa la presenza in rete degli autori affermati; da un lato mi dico che è una forma di rapporto diretto, che permette un feedback più puntuale,  dall’altro lato mi chiedo: se i lettori si trovano costantemente sul web, dove trovano il tempo di leggere

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